Sentenza – 30 gennaio 2014 (dep. 5 marzo 2014), n. 10561 Cass., Sez. Unite
Con la sentenza in esame la Cassazione a Sezioni Unite ha preso posizione sulla questione inerente la possibilità o meno di aggredire i beni di una persona giuridica – attraverso lo strumento della confisca per equivalente e, dunque, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca – per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante o da altro organo della stessa.
In rapporto ai due distinti orientamenti ravvisati sul punto dalla Terza Sezione rimettente dei quali, il primo, ammette tale possibilità sull’assunto del rapporto di immedesimazione organica tra amministratore e società e delle ricadute sul patrimonio della persona giuridica a favore della quale l’autore del reato ha agito, se ne contrappone un secondo condiviso dalla Corte a Sezioni Unite.
Ad avviso del Supremo Collegio il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente dei beni appartenenti alla persona giuridica, non é ammissibile nel caso in cui si proceda per violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della società, e ciò in quanto gli artt. 24 e seguenti del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non prevedono tali illeciti tra le fattispecie che giustificano l’adozione del provvedimento di confisca (e quindi di quello di sequestro alla confisca finalizzato).
La Corte nel risolvere il conflitto interpretativo chiarisce che ad oggi non sussiste un fondamento normativo legittimante l’adozione di tale strumento nei confronti dell’ente giuridico in relazione a reati tributari commessi dal legale rappresentante e definisce “irrazionale” il mancato inserimento di tali illeciti fra quelli previsti dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 auspicando un intervento legislativo idoneo a colmare la lacuna censurata.