11.05.2015

Note a margine di Cass. Pen. N. 15449/2015: lieve tenuità del fatto e delitti tributari

La causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. per i reati di lieve entità e non abituali è applicabile anche ai delitti tributari che abbiano delle soglie di punibilità già predeterminate. L’applicazione della nuova normativa, come norma sostanziale di favore, è applicabile anche officiosamente in sede di legittimità, ove ne ricorrano i presupposti.

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza dello scorso 8 aprile 2015, ha preso in considerazione il tema dell’applicabilità della nuova causa di non punibilità per lieve tenuità del fatto ai delitti tributari, fornendo una prima importante pronuncia di legittimità.

Come è noto, il D. Lgs. 28/2015 ha introdotto all’art. 131-bis c.p. una causa di non punibilità per reati che siano caratterizzati da un fatto di “lieve tenuità” e siano altresì comportamenti “non abituali”.
La norma comprende limiti di natura oggettiva, quali l’applicabilità a reati puniti con pena detentiva nel massimo a 5 anni, e limiti di natura soggettiva, tali da escludere quei soggetti che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza o comunque che abbiano commesso più reati della stessa indole.
Anche se di scarso rilievo per la materia tributaria lo stesso articolo, al comma II, si preoccupa di predeterminare per legge talune esclusioni dal perimetro applicativo della norma: i fatti commessi per motivi abietti o futili, con crudeltà a danno di persone o animali, con sevizie, con profittamento dello stato di minorata difesa (anche in relazione all’età della vittima) ovvero quelli che abbiano comportato – come conseguenze non volute – le lesioni gravissime o la morte di un terzo non potranno essere ritenuti dal Giudice o dal Pubblico Ministero, in sede di richiesta di archiviazione, “di lieve entità”.

Fatte le debite e sintetiche premesse, si muoverà ora verso il contenuto specifico della pronuncia della Suprema Corte, resa in materia di fraudolenta evasione di imposte dirette e sul valore aggiunto, sanzionata dall’art. 11 D. Lgs. 74/2000.
L’imputato era stato condannato in primo e secondo grado per avere fraudolentemente costituito un trust al fine di evadere la procedura di riscossione coattiva di imposte, dirette e di IVA, per un ammontare complessivo di euro 466.953,95.
Al tempo del commesso reato, cioè al 25 febbraio 2009, la legge prevedeva la pena della reclusione da 6 mesi a 4 anni per le condotte di fraudolente alienazioni o altri atti idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva: era tuttavia prevista una unica soglia di punibilità pari ad un ammontare evaso di “lire cento milioni” (euro 51.645,69, poi trasformato in 50.000).
Il Difensore presentava ricorso per Cassazione, ma nelle more interveniva l’approvazione del precitato D. Lgs. 28/2015, del quale chiedeva applicazione nell’udienza, in quanto ius superveniens favorevole al reo e quindi applicabile in forza dell’art. 2 c.p.
La precisazione temporale è quantomai necessaria dal momento che la novella della L. 122/2010 ha elevato la pena sino ad un massimo di 6 anni di reclusione per l’ipotesi contestata, rendendo la fattispecie esterna ai confini oggettivi della causa di non punibilità

La Corte, rigettando tutti gli altri motivi di ricorso relativi allo specifico caso, muove alcune prime considerazioni in tema di applicabilità dell’art. 131-bis c.p. ai processi in corso, in particolare con riferimento ai delitti tributari che conoscono diverse soglie di punibilità.
Il problema non è di poco momento, posto che a seconda dell’interpretazione data al concetto di “soglia di punibilità” possono derivare talune conseguenze pratiche anche in tema di esclusione della punibilità per lieve tenuità del fatto.
Secondo alcuni la soglia di punibilità effettua già, ex se, una valutazione della tenuità del fatto: le condotte che restano al di sotto del limite individuato non sono perseguite dalla legge proprio perché sono ritenute non meritevoli di sanzione penale.
Aderendo a tale impostazione, pertanto, l’art. 131-bis c.p. non potrebbe trovare applicazione nel caso di lieve superamento della soglia di punibilità, in quanto i fatti lievi sarebbero già esclusi dal novero della giurisdizione penale in applicazione di un criterio eminentemente matematico.
Tutt’al più sarà possibile invocarne l’applicazione allorché vi siano altre valutazioni di fatto tali da poter rendere lieve – sotto diverso profilo – la condotta delittuosa: si pensi, come esempio, ad una particolare condotta collaborativa ovvero una rateazione del debito tributario ormai quasi del tutto estinto per i regolari pagamenti avvenuti.
Secondo una diversa tesi, invece, la soglia di punibilità avrebbe solamente lo scopo di delimitare la latitudine della giurisdizione penale in quanto talune condotte sarebbero impossibili o antieconomiche da perseguire se commesse sotto un certo limite.
In questo caso, ferma restando l’applicazione delle sanzioni eventualmente irrogate in altra sede, un lieve sforamento della soglia di punibilità comporterebbe sì l’esercizio dell’azione penale a carico dell’imputato, ma lo stesso potrebbe senz’altro essere prosciolto poiché il superamento non ha grande tenore e quindi assurge a fatto “lieve”.

La Cassazione, sul punto, decide di considerare positivamente l’applicabilità del diritto sostanziale posteriore più favorevole al reo, passando direttamente a considerare che al momento della commissione del delitto la legge prevedeva un massimo edittale di pena di 4 anni di reclusione, a fronte dei 6 anni introdotti a partire dal 2010.
Con un significativo silenzio sul problema della compatibilità della norma con il superamento della soglia di punibilità, la Corte passa direttamente a valutare la sussistenza delle condizioni richieste per l’applicazione della nuova normativa, in particolare gli indici-criterio e gli indici-requisito.
Se ne deduce, correttamente, che i Giudici di legittimità non vedono nessuna preclusione al riconoscimento della “lieve tenuità” di un fatto allorché lo stesso comporti il superamento della soglia prevista per legge, mostrando adesione implicita alla seconda delle tesi delineate.

Il precipitato giuridico, in tema di delitti tributari, è senz’altro interessante soprattutto ove le soglie di punibilità siano superate di poche migliaia di euro: in tali casi il procedimento penale potrebbe ben conoscere una declaratoria di non punibilità dell’imputato proprio in forza dei principi suesposti.
I delitti di dichiarazione infedele (art. 4 D. Lgs. 74/2000), omessa dichiarazione (art. 5 D. Lgs. 74/2000), omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D. Lgs. 74/2000), omesso versamento IVA (art. 10-ter D. Lgs. 74/2000) e sottrazione fraudolenta (art. 11 D. Lgs. 74/2000, entro certuni limiti quantitativi di imponibile evaso) sono senza dubbio un ampio ventaglio entro il quale la nuova norma potrebbe trovare applicazione.

Nel caso osservato, tuttavia, il ricorso dell’imputato – nonostante le utili precisazioni e valutazioni espresse dalla Corte – è stato rigettato in toto, non ritenendo i Giudici sussistenti in concreto i requisiti per effettuare la declaratoria di non punibilità.

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