Legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca anche su beni intestati a terzi
Cassazione Penale sez. III penale 19 marzo 2015 sent. n. 11497.
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha enunciato il principio secondo cui il sequestro preventivo funzionale alla confisca può riguardare anche beni non di proprietà dell’indagato anche in assenza, e salvo un’evidente sproporzione, di una precisa corrispondenza in termini strettamente economici tra il quantum oggetto del reato (evasione) e il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare,.
Tale conclusione poggia sulla valorizzazione del concetto di “disponibilità” dei beni sequestrabili da rinvenirsi, al pari della nozione civilistica del possesso, in tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi.
Emblematici sono i casi dell’acquisto, con il denaro dell’indagato, di beni pur reperiti presso terzi ovvero di beni formalmente intestati ad un soggetto non indagato.
In tali casi, la res ad avviso della Corte è certamente sequestrabile e ciò poiché la disponibilità della provvista da parte dell’indagato ha reso evidente in termini di “qualificata probabilità” il legame tra il primo ed i beni.
Quindi a fronte della prova che determinati beni siano stati acquistati con denaro direttamente o indirettamente riconducibile all’indagato e poi intestati, ad esempio, ai suoi familiari, occorre che questi provino che la disponibilità degli stessi non sia rimasta all’indagato per sottrarsi all’applicazione della misura ablatoria.
In definitiva, motiva la Corte che l’avere fornito la provvista per l’acquisto si pone come presunzione iuris tantum di intestazione fittizia, cui l’intestatario formale del bene può ovviare portando in giudizio elementi da cui possa desumersi che, al di là del denaro con cui è stato acquistato, il bene rientri nella sua disponibilità e ricada in toto nella sua sfera di interesse economico.
Si evidenzia, infine, che con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale in materia di illeciti tributari gli elementi raccolti durante gli accessi, le ispezioni e le verifiche compiute dalla Guardia di Finanza per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette sono sempre utilizzabili quale “notitia criminis”, “in quanto a tali attività non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l’operato della polizia giudiziaria”. Si tratta, motiva la Corte, di atti che hanno natura amministrativa e che sono finalizzati alla formazione di un successivo atto di imposizione fiscale, di guisa che le eventuali irregolarità verificatesi nel corso di tale procedimento amministrativo, se incidono sulla validità dell’accertamento tributario nei confronti del soggetto sottoposto alla verifica fiscale, non rendono inutilizzabile la “notizia criminis” che emerga nel corso della verifica stessa.
A tali accessi – pertanto- non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l’attività di polizia giudiziaria e, trattandosi di atti amministrativi e non giudiziari, la loro irregolarità formale può essere considerata solo causa di invalidità dell’accertamento fiscale, ma non può riverberare i suoi effetti sull’accertamento penale.