22.06.2015

Legittimità costituzionale rispetto all’art. 3 cost. del reato di omesso versamento delle ritenute di acconto ex art. 10-bis D.Lgs. n. 74/2000

Corte costituzionale sentenza n. 100/2015 – 05.06.2015.

Con la sentenza in esame la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi circa la legittimità costituzionale o meno dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti – ovvero, secondo la Corte d’appello di Milano e il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, l’omesso versamento «di ritenute certificate, dovute in base alla relativa dichiarazione annuale» – per importi non superiori, per ciascun periodo d’imposta, ad euro 50.000, anziché ad euro 103.291,38.
L’eccezione – avanzata dalla Corte d’appello di Milano, dal Tribunale ordinario di Verona (con due ordinanze di rimessione), dal Tribunale ordinario di Forlì e dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bergamo – riguardava la violazione dell’art. 3 della Costituzione, per la irragionevole disparità di trattamento della fattispecie considerata sia rispetto ai più gravi delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione (artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000), integrati da condotte maggiormente insidiose e lesive degli interessi del fisco; sia rispetto alla fattispecie criminosa analoga dell’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), vista dall’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, quale risultante a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale di cui alla sentenza n. 80 del 2014 di questa Corte (nonché, per il solo Tribunale di Forlì, la violazione dell’art. 24 Cost.).
La Corte, ritenute manifestamente inammissibili la questione sollevata dal Tribunale di Bergamo e dal Tribunale di Forlì in riferimento all’art. 24 Cost., ha esaminato nel merito quelle formulate da quest’ultimo e dal Tribunale di Verona, dichiarandole non fondate.
Con tale pronuncia la Corte ha ribadito, anche in riferimento all’attuale quadro normativo, quanto già la stessa aveva avuto modo di escludere e cioè che l’omesso versamento delle ritenute e l’omesso versamento dell’IVA siano fattispecie tra loro comparabili, al fine di desumerne la violazione del principio di eguaglianza, trattandosi di fattispecie eterogenee (ordinanza n. 376 del 1989).
Ciò è avvenuto nella vigenza della disciplina penale tributaria dettata dal decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516: disciplina alla cui stregua l’omesso versamento dell’IVA rimaneva del tutto privo di rilevanza penale mentre l’omesso versamento delle ritenute costituiva delitto, indipendentemente dall’ammontare delle somme non versate (art. 2, secondo comma, del citato decreto-legge, nel testo originario).
Nel caso oggetto della sentenza, le questioni sollevate sono state tutte ritenute non fondate dalla Corte poiché sulla base dell’assunto dalla stessa più volte ribadito che la circostanza che il legislatore, nell’elevare anche l’omesso versamento dell’IVA al rango di illecito penale, abbia optato per il suo allineamento all’omesso versamento delle ritenute certificate quanto a soglia di punibilità e a trattamento sanzionatorio, non esclude che permangano elementi differenziali tra le due fattispecie tali da precludere qualsivoglia comparazione.
Le previsioni punitive di cui agli art. 10 bis e 10 ter d.lg. n. 74/2000, infatti:
– attengono a tributi diversi (le imposte sui redditi, nel primo caso, l’imposta sul valore aggiunto, nel secondo);
– hanno anche – e soprattutto – come destinatari soggetti i cui ruoli sono nettamente distinti, sul piano tributario: rispettivamente, il sostituto d’imposta e il contribuente, soggetto passivo dell’ IVA. Si tratta di posizioni non equiparabili, stante la peculiarità delle funzioni affidate al sostituto d’imposta, il quale è chiamato ad adempiere l’obbligazione tributaria in luogo del soggetto in capo al quale si realizza il presupposto impositivo, effettuando, nei casi normativamente previsti, ritenute alla fonte sulle somme erogate ai sostituiti per poi riversarle all’erario;
– presentano, sotto il profilo oggettivo del reato, significativi elementi differenziali. Mentre l’art. 10-ter richiede che l’IVA non versata risulti dalla relativa dichiarazione annuale, l’art. 10-bis richiede, invece, che le ritenute non versate risultino dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti: documenti, questi ultimi, che assumono una particolare rilevanza nell’attuazione del rapporto tributario. Nel caso della ritenuta a titolo di imposta, infatti, il rilascio della certificazione comporta, salvo casi particolari, la liberazione del sostituito dall’obbligazione tributaria, potendo, dopo di esso, l’erario rivolgersi, per l’adempimento, unicamente al sostituto; mentre nel caso della ritenuta d’acconto la certificazione abilita il sostituito a compensare il credito corrispondente all’importo della ritenuta con il debito complessivo di imposta risultante dalla dichiarazione.
In questa prospettiva, l’allineamento quoad poenam e quanto a soglie di punibilità delle due ipotesi di omesso versamento, operato dal legislatore nel 2006, rappresenta, dunque, una soluzione costituzionalmente compatibile, ma non costituzionalmente imposta.

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